Tratto da "Voce della Comunità" - settembre 2011

Anniversario della RICONSACRAZIONE - 13 settembre 1711 / 13 settembre 2011
Le due date nel titolo racchiudono 300 anni di esistenza dell’antica chiesa parrocchiale. Quanta umanità è vissuta ed ha pregato tra le sue mura in tutto questo tempo!... Ma la parola “riconsacrazione” spiega chiaramente che la storia del tempio mariano, patrimonio di fede, arte e cultura non secondario di Monte Sant’Angelo, non si restringe affatto in questo lasso di tempo. Ad una semplice occhiata, infatti, balza subito evidente che il Sacro Edificio, nel suo meraviglioso portale, nella struttura interna, nelle preziosissime reliquie di antichi affreschi, ha un passato molto più lontano, per certi versi - come luogo sacro - addirittura precedente alla stessa grotta di San Michele. La riconsacrazione, dunque, che il parroco don Carmine ha voluto opportunamente commemorare, ricorda la ripresa del suo ruolo di venerato luogo sacro a Maria Santissima che detiene ancora oggi. Tra i prodigi operati dal Signore su questa montagna e che noi conosciamo benissimo poiché appresi sin dalla prima fanciullezza, si narra nella cosiddetta “Apparitio”, uno scritto anonimo agiografico poi propagandato da Alcuino, il segretario di Carlo Magno, che, dopo la vittoria sui barbari avvenuta con il determinante aiuto del Celeste condottiero, gli abitanti dell’antica Siponto, venuti quassù in processione per rendere grazie e non osando ancora entrare nell’antro buio e misterioso, eressero ad Oriente un tempio dedicandolo al Principe degli Apostoli San Pietro. In esso innalzarono due altari secondari: uno in onore di Maria Sempre Vergine, uno in onore di San Giovanni Battista. Terremoti, saccheggi e ricostruzioni portarono alla separazione delle tre devozioni e, mentre la chiesa-madre rimase in piedi fino al 1891 come unica parrocchia della città e delle sue frazioni e la cappella di San Giovanni assunse la forma attuale ed il nome di “Tomba”, le vicende più complesse interessarono proprio la chiesa mariana, sviluppatasi dalla parte destra su di un’area che fu a lungo il grande cimitero cittadino. L’ arcivescovo Leone “il montanaro” (questo significa “Garganico”) la ingrandì ed abbellì per farne “la chiesa del vescovo” e, portando avanti la sua tesi che Monte Sant’Angelo avesse pari dignità rispetto a Siponto, volle che si chiamasse S. Maria Maggiore allo stesso modo della cattedrale che all’epoca si stava costruendo in pianura. Successivamente un altro illustre cardinale montanaro, Gregorio de Galganis, che ebbe dal papa Innocenzo III l’incarico di fare da tutore al piccolo Federico II di Svevia, la fece ornare dello splendido portale e fu il committente di diverse immagini interne che si ammirano ancora. Da Leone Garganico in poi si sviluppò una lunga polemica sulla concattedralità di Monte Sant’Angelo. In parole povere, i montanari avrebbero voluto che per la chiesa diocesana, accanto all’aggettivo “sipontina”, fosse aggiunto anche quello di “garganica”. Gli arcivescovi, da buoni padri, cercarono per quanto possibile di restare equidistanti e, di conseguenza, in estate dimoravano a Monte Sant’Angelo dove la memoria tramanda ancora l’esistenza del cosiddetto “Seminario”: un complesso di strutture abitative che va da piazza Sturzo fino all’ “arco della piazza”. Ed ecco l’importanza di S. Maria Maggiore come chiesa del vescovo alla quale accedeva facilmente attraverso la seconda apertura su via Reale Basilica, vicinissima al suo palazzo. Nel 1600 è documentata anche l’esistenza di una Confraternita di laici che la curava, formatasi già due secoli prima ed il rettore ne era l’arcidiacono del Capitolo di S. Michele, insignito, per questa seconda carica, del titolo di “abate”. Con il definitivo pronunciamento della Curia papale a favore di Manfredonia quale unica sede vescovile, per S. Maria Maggiore iniziò la decadenza culminata probabilmente nella chiusura al culto. La data del 1711, dunque, ne segna il ripristino. Intanto S. Pietro aveva perso di importanza con l’erezione di due nuove parrocchie che le sottrassero un cospicuo territorio: quella a Mattinata e quella del Carmine a Monte Sant’Angelo e, con il pretesto che fosse pericolante, fu demolita nel 1891. La parrocchia passò alla Madonna della Libera da poco divenuta chiesa poiché precedentemente cappella del cimitero dei poveri sotto il titolo di S. Anna. La Confraternita parrocchiale, invece, denominata del SS. Sacramento in quanto i suoi associati, a turno, accompagnavano processionalmente (come era obbligo fino all’inizio del 1900) Gesù Eucaristia a qualsiasi ora dovesse andare nelle case dei morenti, trovò una sede nella chiesa dei Cappuccini dove portò con sé la campana (ed ecco perché ai Cappuccini ce ne sono due) e le statue di S. Pietro, di S. Giovanni Battista e della Madonna del Rosario. Intanto S. Maria, ripresa in cura dalla ricostituita confraternita laica all’inizio del 1900, si distinse particolarmente per la devozione alla Madonna degli Angeli con le due feste campestri annuali del Lunedì di Pasqua e 16 agosto e per quella dell’Assunta alla quale era legata una suggestiva tradizione proveniente dal lontano passato. All’alba del 15 agosto si celebrava una messa con le melodie natalizie poiché la festa mariana era ritenuta, insieme a quelle dell’8 settembre (Natività di Maria) e dell’8 dicembre (Immacolata Concezione), preludio al Natale. Vi partecipavano tutti coloro che erano rimasti svegli nelle case a pregare davanti a sontuosi altarini eretti davanti ad immagini di Maria che saliva al cielo sorretta dagli Angeli. Ed intanto, contemporaneamente, nei vicoli e nei crocicchi si accendevano allegri falò, rito di gioia immancabile nelle vigilie di festa dell’antica civiltà contadina. Nel pomeriggio, poi, muoveva una caratteristica processione con due statue mariane: la Madonna degli Angeli che l’indomani sarebbe tornata in campagna e S. Maria Assunta che la tradizione vuole scolpita dal celebre artista napoletano Giacomo Colombo. La processione, centro e culmine dell’estate, si tenne fino al 1972 quando, spezzatasi una sbarra della pedana dell’Assunta, quest’ultima franò a terra in piazza S. Francesco. L’ultimo arciprete-parroco del Capitolo della Basilica fu, dal 1930, don Filippo Ungaro. Ma quando questi si dimise, l’arcivescovo Cesarano, nominando canonico don Michele Gentile nel 1949, gli conferì separatamente il titolo di “parroco di S. Michele”. Con questo atto la parrocchia fu separata dal Santuario e nel 1972, con lo scioglimento del Capitolo stesso, un decreto di mons. Vailati la fece traslocare in S. Maria Maggiore con il titolo di “Parrocchia di S. Michele in S. Maria Maggiore”, migliorato da quello del Presidente della Repubblica Italiana, Giovanni Leone, che la qualificò esclusivamente “di S. Maria Maggiore”. Con essa fu spostato anche il prezioso archivio comprendente i registri dei battezzati dei defunti e dei matrimoni i cui primi volumi risalgono al 1600, in seguito alle disposizioni impartite dopo il Concilio di Trento. In quel frangente, la confraternita, già in stato precario per mancanza di iscritti, cessò di esistere. Don Michele Gentile fu parroco dall’ 8 maggio 1949 al 27 dicembre 1988 e visse momenti importanti e difficili dell’allontanamento della parrocchia da S. Maria della Libera per la quale era stato promotore della costruzione di alcuni locali adiacenti, ora annessi al Santuario. Nel 1965 fece anche erigere, a nome del T. O. F. parrocchiale, un monumento in marmo a S. Francesco di Assisi nelle cosiddette "scalelle" per ricordare la sua visita al Santuario. Oltre a questa associazione, la parrocchia si è sempre distinta per un fiorente ed attivo nucleo di Azione Cattolica maschile e femminile. Dal 28 dicembre 1988 al 28 novembre 2004 il parroco è stato il sacerdote Matteo d’Acierno proveniente dal clero di Manfredonia. Gli è subentrato, dal 29 novembre 2004, il sacerdote Carmine Rinaldi, anch’egli della stessa città. Nel 1990, con la morte dell’ultimo rettore, don Antonio Troiano, alla parrocchia fu legata anche la chiesa popolarmente detta “dei Cappuccini”. Sottoposta a radicale restauro dal parroco don Rinaldi e riaperta al culto nel 2008, è divenuta un gioiello di luce e pulizia. Alla chiesa di S. Maria Maggiore è legato anche il piccolo santuario campestre della Madonna degli Angeli. La tradizione lo vuole fondato da S. Francesco d’Assisi e dedicato alla "sua" Madonna degli Angeli. Mentre era di ritorno dalla visita alla Sacra Grotta, qui il “poverello”, diretto al Santuario mariano di Pulsano, si sarebbe fermato per riposarsi e, conquistato dal bellissimo spettacolo naturale che si offriva davanti ai suoi occhi, avrebbe sentito l’impulso irresistibile di cantare le lodi di Maria la quale gli sarebbe apparsa, circondata da uno stuolo di angeli. L'edificio rettangolare è impreziosito da un bellissimo portale del XIII secolo, raffigurante Maria tra gli Angeli. Il cubo-sagrestia, aggiunto a destra dell’abside, è del 1600. Su di esso fu elevata molti anni dopo l’arcata per reggere la campana. Nella piccola nicchia secondaria era collocata una statua in pietra locale raffigurante la Madonna con in braccio il Bambino. Ben lavorata nell’ampio panneggio dell’abito regale, fu rubata nell’estate del 1982 da persone rimaste ignote. Dopo aver forzato la porta in ferro dell’entrata, strapparono letteralmente tutti gli angeli ed il Bambino alla statua della Madonna degli Angeli (che si salvò probabilmente dall’asportazione solo a causa della sua mole e del suo peso) e li portarono via insieme a questa antica immagine. Fino agli anni ’60 del XX secolo, non si trattava di una chiesetta isolata, ma di un vero e proprio “complesso” santuariale. A 45 gradi rispetto al luogo di culto, sorgeva, infatti, una casa rurale per il custode e nello spiazzo antistante si innalzava un’ampia piattaforma quadrata, al centro della quale troneggiava l’apertura di una profonda cisterna che, raccogliendo le acque piovane, elargiva il liquido vitale. Fatta oggetto di atti vandalici, la cisterna ispirò a don Nicola Rinaldi (rettore di S. Maria Maggiore e, pertanto, anche della chiesetta campestre annessa) una colorita ammonizione in dialetto locale che fu incisa sulla faccia più “in vista” del cubo: “C’iànna secché li mméne a chi scètte li ppréte ‘ntla pescìne e uàste l’acque” (Che si possano “seccare” le mani a chi getta le pietre nella cisterna e rovina l’acqua). Oggi è stata cancellata ogni traccia della casa e del pozzo!.... Nel 1965 la chiesetta subì radicali rimaneggiamenti con l’uso inopportuno del marmo e l’erezione di una mensa secondo le norme liturgiche del Concilio Vaticano II al posto dell’antico altare. Il restauro ne alterò irrimediabilmente l’antica fisionomia. La grossa statua di Madonna seduta su nuvole, con Bambino in braccio e circon­data da sei puttini alati in varie posizioni e di diver­se misure, fu eseguita alla fine del 1700 da statuari locali o, secondo Ciro Angelillis, dal maestro Gaetano Fiore di Foggia. Oggetto di particolare devozione come protettrice dei campi e dei raccolti, veniva prelevata dalla campagna, portata in processione per la città e collocata nella cappella del SS. Sacramento della Basilica di S. Michele solo durante i tempi di siccità e di calamità naturali. Passata alla confraternita di S. Maria, dagli inizi del 1900 fu portata in paese con solenne processione ogni lunedì dopo Pasqua e rimaneva nella chiesa omonima fino al 16 agosto. Dal 16 agosto 1974 le due date furono invertite e la Madonna fu trattenuta in paese durante il periodo invernale. Don Michele Gentile per tutta l’estate celebrava in campagna la messa festiva nel sabato pomeriggio e lì solennizzava la festa del 5 agosto, cosa che fece formare un buon gruppo di assidui frequentatori. Nel 1982 si consumò il furto sacrilego sul quale non si è fatta mai luce. Da allora il parroco non volle più lasciarla incustodita, tuttavia conservò la tradizione dei due giorni “campestri”. Nel marzo 1989 fu fatta restaurare dal parroco don Matteo D’Acierno. Per l’occasione furono costruite anche le nuove statue del Bambino e degli angeli in vetroresina, che, però, risultarono chiaramente differenti dallo stile della statua. Il 16 agosto dello stesso anno, durante la celebrazione della messa, si scatenò un furioso temporale durante il quale la caduta di un fulmine nelle vicinanze causò la morte di tre giovanissimi gitanti incautamente riparatisi sotto un albero. In seguito a questo avvenimento, nella prima domenica di settembre fu realizzato il primo numero del giornalino “La Voce della Comunità di S. Maria Maggiore” il quale, da un semplice foglio episodico, si pubblica puntualmente ogni mese. Attualmente nella chiesetta si venera la statua della Madonna di Lourdes in legno acquistata da don Nicola Rinaldi nell’anno mariano 1954. Sulla collina c’è anche un maestoso crocifisso di bronzo che sostituisce una semplice e rozza croce di legno piantata lì dai padri di S. Maria della Mercede agli inizi del 1900, presente nelle riprese del film “La morte civile” interamente girato a Monte Sant’Angelo nel 1942. Per la festa dell’Assunta del 2011, è stata benedetta in S. Maria Maggiore una statua in legno, opera dello scultore Stuflesser di Ortisei, copia davvero riuscita dell’originale, con tutti gli angeli ed il Gesù Bambino perfettamente uguali a quelli rubati. Così, dopo 21 anni, il 16 agosto la Madonna ha ripreso la via della “sua” collina. Al “belvedere” da almeno quaranta anni non si ripeteva la scena dell’arrivo della Madonna in mezzo ad una folla così compatta. Ora la copia resta esposta alla venerazione nella chiesa dei Cappuccini mentre l’originale, in attesa dei restauri ed alla quale saranno applicate le statue del Bambino e degli angeli, scolpite dallo stesso artista che ha realizzato la copia, continua a dispensare il suo materno sorriso nella chiesa parrocchiale che in questo settembre festeggia i suoi trecento anni dalla riconsacrazione. Questo è (molto sinteticamente) ciò che si vuole ricordare, rendendo le dovute grazie al Signore, il 12 settembre 2011 con una solenne Eucaristia presieduta dal nostro arcivescovo, mons. Michele Castoro. Per l’occasione è stato dato alle stampe un libro da me compilato dove riporto tutto quanto di mia conoscenza riguardo alla mia chiesa parrocchiale, nella speranza che i Montanari non perdano mai la memoria delle proprie antichissime tradizioni religiose, così ricche, così significative e - come i recenti avvenimenti hanno dimostrato - ancora ricordate ed amate.

di Ernesto Scarabino.

Facciata Santa Maria Maggiore 1923 (Fototeca Tancredi)